QUESTIONI APERTE:
- VALIDITA’ DELL’IMPERATIVO CATEGORICO
Immanuel Kant imposta una trattazione sistematica sulla morale nel tentativo di dare un fondamento ad una morale universale: esisterebbe una legge morale che ha la caratteristica di essere necessaria e universale, non vi sarebbe cioè dubbio che l'uomo in quanto uomo abbia dei "doveri", "debba solo perché deve" comportarsi secondo un imperativo categorico. In realtà seguendo una prospettiva evoluzionistica quelle che sono chiamate "norme morali" sono comportamenti sociali progressivamente sorti all'interno dei gruppi per tutelare l'autodifesa, la solidarietà, la coesione e la mutua assistenza nel gruppo, vi è stato perciò un processo di "universalizzazione" delle stesse norme morali dettato da necessità utilitaristiche e non dall’esistenza di un imperativo morale innato nella natura stessa dell’essere umano.
- IMPOSTAZIONE FORMALISTICA
L’etica kantiana è formale perché svuota i suoi precetti di ogni contenuto particolare e si rifugia
così nella generalità delle formulazioni etiche che le garantiscono di sottrarsi al relativismo etico e al divenire storico dei contenuti morali. La legge morale è una pura forma che cerca di regolare l’agire etico della persona conferendogli universalità ma anche ambiguità data la sua formulazione; il soggetto si trova innanzi a sé una morale rigorosa ma troppo generale e priva di precisi riferimenti comportamentali pratici, le formule dell’imperativo categorico non rappresentano infatti una guida etica concreta. Ad esempio circa la prima formula dell’imperativo categorico ("agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu possa insieme volere che essa divenga legge universale") come un soggetto potrebbe mai sapere se il principio sulla base del quale regola il suo comportamento, possa valere come norma valida per tutti gli uomini? è infatti del tutto soggettivo per la natura della sua formulazione il principio per cui vale la massima “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te stesso”.
così nella generalità delle formulazioni etiche che le garantiscono di sottrarsi al relativismo etico e al divenire storico dei contenuti morali. La legge morale è una pura forma che cerca di regolare l’agire etico della persona conferendogli universalità ma anche ambiguità data la sua formulazione; il soggetto si trova innanzi a sé una morale rigorosa ma troppo generale e priva di precisi riferimenti comportamentali pratici, le formule dell’imperativo categorico non rappresentano infatti una guida etica concreta. Ad esempio circa la prima formula dell’imperativo categorico ("agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu possa insieme volere che essa divenga legge universale") come un soggetto potrebbe mai sapere se il principio sulla base del quale regola il suo comportamento, possa valere come norma valida per tutti gli uomini? è infatti del tutto soggettivo per la natura della sua formulazione il principio per cui vale la massima “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te stesso”.
- CONTRADDIZIONI CON LA CRITICA DELLA RAGION PURA
Nella Critica della ragion pratica si approda a una visione opposta rispetto alla Critica della ragion pura, in quanto al meccanicismo della Critica della ragion pura si contrappone il finalismo della ragion pratica. La Critica della ragion pratica presenta uno spiccato finalismo: tutta la vita morale è tesa alla realizzazione del fine del bene. Nella vita morale l’uomo si pone un fine: la virtù, il bene. Anzi, Kant aveva anche parlato di un “regno dei fini”, cioè un regno ideale di tutti gli uomini che si rispettano vicendevolmente, e, seguendo la seconda formula dell’imperativo, si trattano sempre come fini e mai come mezzi. Il regno dei fini è il regno della morale: se la morale si realizzasse pienamente sarebbe il regno della finalità: ognuno sarebbe considerato dagli altri come un fine in sé. Il finalismo della Critica della ragion pratica è opposto al meccanicismo della Critica della ragion pura. Soprattutto, nella Critica della ragion pratica si presenta la libertà come uno dei tre postulati, cioè uno dei tre requisiti fondamentali senza i quali la vita morale non può aver luogo. Siamo dunque di fronte a questa contraddizione: da una parte Kant concepisce la natura come priva di ogni finalità e come priva di libertà; dall’altra considera l’uomo come capace di porsi fini, e come operante in una dimensione di libertà. Dalla Critica della ragion pratica emerge la visione di un’umanità che vive in una dimensione che non ha niente a che vedere con quella naturale: sembrerebbe che ci sia un’estraneità tra la natura e l’uomo, la natura meccanicista e l’uomo dotato di finalismo.
- CONCEZIONE RELIGIOSA
I tre postulati della ragion pratica delineano un’etica necessariamente legata alla sfera religiosa ( addirittura cristiana): La libertà nuomenica dell’uomo (cfr. libero arbitrio), l’esistenza di Dio (inteso come un giusto remuneratore) e l’immortalità dell’anima (necessaria per avvicinarsi sempre più alla perfezione morale) sono principi di fede e come tali la ragione umana non ha alcun potere conoscitivo definitivo su di essi; sorge spontaneo chiedersi come possano essere accettati questi postulati che vertono a differenza di quelli geometrico-matematici su un ambito in cui le facoltà conoscitive del soggetto sono decisamente limitate. Essi riguardano la fede e per questo non possono essere alla base di un’etica che si prefigge di essere universale. Per quali motivi il buon cristiano sarebbe di per sé un soggetto morale? Si sfocia pericolosamente nel considerare di pari passo conformità religiosa e moralità. Inoltre i postulati dell’esistenza l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima pongono, nonostante ciò sia smentito, certe azioni dell’uomo come mezzo per il raggiungimento di utile (la vita eterna), la virtù non dovrebbe essere invece un mezzo ma un fine, è premio a sé stessa. E’ singolare che successivamente agli sforzi argomentativi per affermare la libertà nuomenica dell’uomo si giunga ad un’impostazione in cui vi è una “tirannide della ragione” che tenta di imporre imperativamente doveri: risulta infatti contradditoria nella comune esperienza l’affermazione “debeo, ergo sum liber”.
- CONFLITTI TRA GLI IMPERATIVI MORALI
Non appare accettabile come Kant definisca la situazione in cui due comandi morali, derivati dall'imperativo categorico, si trovino in conflitto. Vi è uno scritto di Kant contro Benjamin Constant (Su un presunto diritto di mentire per amore degli esseri umani, 1797), nel quale si sostiene che se un innocente fosse rifugiato in casa nostra, e un uomo che lo cerca per ucciderlo ci chiedesse dove si trova, noi avremmo l'obbligo di rispondere la verità, perché i principi morali non ammettono eccezione. È chiaro che questa posizione è stata oggetto di critiche. Tra i critici più severi vi è Hegel, il quale ammette una subordinazione gerarchica delle norme morali, in base alla quale è evidente che la salvezza di una vita autorizza a infrangere alcune norme morali meno importanti, come quella che ci obbliga a dire la verità. Per Hegel la natura dialettica della realtà in cui viviamo porta a situazioni di conflitto fra le norme, nelle quali dobbiamo agire rispettando il valore più alto, e sacrificando eventualmente a esso quello minore. Kant, al contrario, non tratta in modo sufficiente il problema dei conflitti morali, denunciando in questo la natura astratta e della sua filosofia morale.
- POSIZIONE ANTROPOCENTRICA E INATTUALITA’
La legge morale, secondo Kant, prevede il rispetto solo della persona umana: il fondamento è sempre ed esclusivamente il soggetto morale-razionale umano, il quale sarebbe obbligato al rispetto dei suoi simili, “i quali vanno considerati anche come dei fini e non solo dei mezzi”. Kant di questo si accontenta, e non ritiene necessario lo stesso rispetto per gli esseri non umani (i quali quindi possono essere sottoposti a quelle prevaricazioni che solo nel caso dell'uomo non sarebbero consentite) e il mondo naturale, l’ambiente. L'uomo, infatti, in quanto capace di elevarsi al di sopra della natura tramite la ragione, sarebbe “il vero fine della natura”, mentre gli altri esseri figurerebbero in ultima analisi come strumenti a disposizione dell'uomo stesso. Infatti “nell'intera creazione si può adoperare anche come semplice mezzo tutto ciò che si vuole e di cui si dispone: solo l'uomo, e con lui ogni creatura razionale, é uno scopo in se stesso» (Critica della ragion pratica, cap. III). Ai nostri giorni tutto ciò appare inaccettabile: l’inquinamento, l’uso cieco delle risorse naturali, lo sfruttamento e l’uccisione non rispettosa della dignità di ogni essere vivente come potrebbero esse considerate azioni non in contrasto con la morale?. Per Kant gli unici doveri che abbiamo verso gli animali sono doveri indiretti verso l’umanità: una sorta di spirito caritatevole nei confronti degli animali, che serve all’uomo per elevare il suo senso di umanità. Se gli unici esseri che sussistono come fini in sé sono gli esseri dotati di raziocinio, allora gli esseri umani che non sono autonomi e non sono dotati di ragione perché ad esempio hanno subito delle lesioni celebrali, secondo la teoria kantiana non avrebbero diritti e potrebbero essere utilizzati solo come mezzi. Per cui o la presenza di autonomia e razionalità non possono essere considerati il fondamento del valore morale supremo, o anche gli uomini menomati, i bambini etc. dovrebbero
essere considerati allo stesso modo di come oggi vengono considerati gli animali. Questa ipotesi risulta palesemente aberrante.
essere considerati allo stesso modo di come oggi vengono considerati gli animali. Questa ipotesi risulta palesemente aberrante.
ASPETTI CHE CONFERISCONO SOLIDITA’ ALL’ETICA KANTIANA:
- RIGORE LOGICO-FORMALE
L’etica kantiana per suo rigore logico-formale fornisce all’uomo un modus vivendi universale nei dettami dell’imperativo categorico che esprime un dover essere incondizionato. Appare del tutto condivisibile il fatto che il concetto di bene e di male non deve essere determinato prima della legge morale, ma soltanto dopo di essa e mediante di essa.
- VALORIZZAZIONE DELLA RAGIONE UMANA
Uno dei principali contributi della dottrina kantiana è l'aver superato la metafisica dogmatica operando una rivoluzione filosofica tramite una critica della ragione che determina le condizioni e i limiti delle capacità conoscitive dell'uomo anche nell'ambito pratico. E’ senz’altro apprezzabile il fatto di ricercare un fondamento alla morale razionale e interno all’uomo.
- RELIGIONE RAZIONALE
La religione coincidente con l'etica si presenta come assolutamente razionale: non vi sarà bisogno né di dogmi, né di sacerdoti che li custodiscano, né di culti, né di chiese dove praticarli. Tutti coloro che si sottopongono alla morale autonoma degli imperativi categorici saranno i membri di una società spirituale che dà vita alla chiesa invisibile degli uomini di buona volontà. Kant distrugge la filosofia scolastica che si occupava di dimostrare e adornare i dogmi della religione, la teologia speculativa e la psicologia razionale. A Kant va quindi riconosciuto il merito, ineguagliato da altri, di aver trovato un modo di conciliare fede e ragione, un progresso enorme in chiave cristiana rispetto al Credo quia absurdum di Tertulliano.
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